Archivio mensile:Luglio 2018

Alan Friedman, Paul Manafort e Romano Prodi

Stasera sul New York Times Jason Horowitz (@jasondhorowitz) ricostruisce la storia della triangolazione – a favore di Viktor Yanukovich, l’ex dittatore filorusso dell’Ucraina – tra Paul Manaford (che per questo è  in custodia cautelare negli States, nell’ambito di un procedimento nato dall’inchiesta sul Russiagate), Alan Friedman e Romano Prodi, autore di un editoriale sul NYT che non si capisce da chi sia stato scritto. 

Prodi non ci fa una gran figura, ma la cosa più divertente è il giudizio tranchant di Horowitz riguardo a Friedman:

[…] Mr. Friedman stopped being a reporter long ago. Instead, he has become an American exemplar of Italy’s transactional culture, its sometimes provincial sensitivity to the view from abroad and its porous lines between journalists, publicists and political operatives.

Insomma, volano gli stracci. Quindi è un pezzo da leggere.

L’articolo di Horowitz su Alan Friedman, Paul Manford e Romano Prodi lo trovate qui

New York Times

Importanza

Non pensi di aver dato troppa importanza al cinema?

E’ come rimproverare Casanova di aver dato troppa importanza alle donne.

Enrico Ghezzi intervistato da Antonio Gnoli su Robinson (supplemento de la Repubblica) di oggi

E’ arrivata la prima crisi di Facebook

 

Facebook non è ancora maggiorenne. La creatura di Mark Zuckerberg, infatti, è nata il 4 febbraio del 2004. Ma nel mondo della società hi-tech 14 anni valgono quanto un’era geologica. Servizi che andavano per la maggiore quando Facebook ha mosso i primi passi ormai non esistono più. Qualcuno ricorda MySpace? Era il social network che sembrava avere il futuro più promettente. Poi è arrivato Facebook, molto meno creativo, ma enormemente più semplice da usare. E ne ha fatto polpette.

Questo per dire che ormai la società di Menlo Park è un gigante, anzi uno dei 5 giganti dell’hi-tech, insieme a Apple, Amazon, Netflix e Google. Le iniziali di questi gruppi fanno un acronimo molto aggressivo, per chi parla inglese: «Faang» («fang», con una «a» in meno, vuol dire «zanna»). La benzina di queste enormi società (Amazon e Apple ormai arrivano a una capitalizzazione di mille miliardi di dollari) non sono i profitti, ma la crescita. Qualche giorno fa Facebook ha ammesso che non crescerà più come prima. Ed è abbastanza normale, visto che ormai ha 2,5 miliardi di utenti. Ma i mercati non l’hanno presa bene: da qui il tonfo che ha fatto perdere alla società 120 miliardi di dollari. Ma è una crisi di crescita. Facebook vale il 18% della pubblicità digitale mondiale e ha due servizi – Instagram e WhatsApp – che finora contribuiscono solo marginalmente. Ma non sarà sempre così. E Facebook riprenderà a macinare record.

Editoriale della Gazzetta di Parma 28 luglio 2018