Cosa ha fatto il Lesotho agli Stati Uniti per avere i dazi più alti del mondo?

Qual è lo stato a cui Trump ha imposto le tariffe più alte? Non è uno dei soliti sospetti (Cina, Eu, i cattivissimi Canada e Messico e neppure gli infidi vietnamiti), ma un piccolo stato africano, il Lesotho.

Ai beni che provengono dal Lesotho l’Amministrazione Trump ha imposto dazi al 50%. La ragione dietro a questa idiozia è il fatto che il Lesotho – stato con una popolazione poverissima – non importa praticamente nulla dagli Stati Uniti e esporta negli Usa una cosa parecchio preziosa, cioè i diamanti.

Da qui lo squilibrio della bilancia commerciale che porta – tramite la demenziale formula usata per stabilire i “dazi reciproci” – alle tariffe del 50%.

Come questo possa aiutare il reshoring della manifattura degli Stati Uniti non è dato sapere, visto che non ci sono miniere di diamanti negli States anche perché non ci sono diamanti da estrarre.

L’unica cosa evidente è che alla Casa Bianca c’è un enorme idiota i cui collaboratori sono egualmente – o forse più – stupidi o non abbastanza in gamba – avendo avuto giorni per studiare una strategia meno insensata – da suggerire cose meno cretine.

E il fatto che ci sia un idiota alla Casa Bianca è il peggior scenario possibile, visto che se si trattasse solo di un criminale almeno massimizzerebbe il proprio tornaconto personale. Mentre gli idioti – come insegna Cipolla – fanno danni a sé e agli altri.

Lo spiega benissimo Binyamin Applebaum sul NYT.

New York Times

Eugenio Colorni, ovvero perché il Manifesto di Ventotene è stato scritto così

Per cercare di farvi capire l’enormità del delirante attacco di Giorgia Meloni – grazie ad alcuni passi estrapolati senza contesto (né testuale, né storico, né politico) – al Manifesto di Ventotene, provo a parlarvi di Eugenio Colorni (nella foto) che figura come prefatore del Manifesto, ma che fu quasi un coautore del documento assieme a Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. E fu sicuramente Colorni il primo a riuscire a pubblicare il documento – clandestinamente – a Roma nel 1944 dopo essere riuscito ad evadere dal confino ed essere diventato una delle figure più importanti del partito socialista in clandestinità.

Colorni organizzò l’ala militare del partito (la brigata Matteotti) che combatteva gli occupanti nazisti e i loro manigoldi fascisti e fu l’anima dell’Avanti!, la testata del partito socialista che si pubblicava in clandestinità.

Colorni fu ucciso, il 28 maggio 1944, pochi giorni prima della liberazione di Roma dai boia fascisti della Banda Koch che posero fine alla sua vita con tre colpi di pistola, nemmeno sapendo che avevano ucciso una delle colonne delle Resistenza nella Capitale. Colorni, infatti, mori qualche giorno dopo in ospedale ancora protetto dal nome scelto per la clandestinità: Franco Tanzi.

Eugenio Colorni fu insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria nel 1946. Questa è la motivazione:

«Indomito assertore della libertà, confinato durante la dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi quindi a rischiose attività cospirative. Durante la lotta antinazista, organizzato il centro militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva animosamente partecipandovi, primo fra i primi, una intensa, continua e micidiale azione di guerriglia e di sabotaggio. Scoperto e circondato da nazisti li affrontò da solo, combattendo con estremo ardimento, finché travolto dal numero, cadde nell’impari gloriosa lotta»

Resta da dire che in realtà, come ho scritto prima, Colorni non fu ucciso dagli occupanti tedeschi, ma da altri italiani, i boia fascisti della famigerata Banda Koch, responsabile di innumerevoli efferatezze. Pietro Koch, il pezzo di merda che li capitanava, fu fucilato alla schiena il 5 giugno del 1945 al Forte Bravetta.

Particolare curioso in questa storia di morte: l’esecuzione di Koch fu filmata da Luchino Visconti su richiesta degli alleati. Visconti era stato uno dei tanti italiani ad aver subito gli arresti arbitrari e le torture della Banda Koch. Questo è il link per vedere il film sul massacro delle Fosse Ardeatine in cui c’è anche la fucilazione di Koch.

Questo per farvi capire che il Manifesto di Ventotene è stato scritto in un tempo in cui l’Italia era sotto il tallone di ferro di una brutale dittatura che dopo l’8 settembre si era trasformata in un’appendice, feroce e ridicola, ma non meno crudele della macchina di morte nazista.

Era un tempo in cui italiani uccidevano italiani. I fascisti ormai erano preda di una cupio dissolvi dove ormai predominava il senso di morte e una concezione necrofila dell’onore nazionale, gli uomini della resistenza – i banditi, i terroristi secondo i proclami dell’occupante nazista e della Repubblica sociale – invece lottavano per ritornare alla vita.

J D Vance, Peter Thiel e la libertà di parola

J D Vance raffigurato come il Grande Fratello. Immagine elaborata con l'intelligenza artificiale

C’è una vicenda famosa che ha fatto la storia degli anni 10 di questo secolo e racconta la chiusura di un sito che all’epoca era l’alfiere di un modo nuovo di fare giornalismo, eticamente discutibile, ma, oggettivamente, divertentissimo.

Il sito si chiamava Gawker ed era la creatura di un irregolare di nome Nick Denton, giornalista, imprenditore digitale, startupparo e visionario. Il killer di Gawker – la storia è strana, ma seguitemi – fu un wrestler famoso, Hulk Hogan che aveva fatto causa a Denton perché il sito aveva pubblicato (erano gli anni 10, eravamo tutti giovani e meno bacchettoni di ora) un video di lui che faceva sesso con la moglie di un (non troppo) amico. E Hogan c’era rimasto male, poverino. Di più l’amico, immagino, ma vabbè…

Hogan, che era arrabbiato come un wrestler, fece causa, però non aveva i soldi per pagare gli avvocati – bravissimi e costosissimi – che pilotarono il processo verso una condanna disastrosa per Denton che dovette vendere il sito per pagare i danni e le spese processuali.

Dietro Hogan c’era uno dei personaggio più potenti della Silicon Valley, uno di cui allora non si parlava tanto se non per sussurrare che era il padrone vero di PayPal e il mentore del giovane Elon Musk e che trafficava in materia di sicurezza nazionale con la sua nuova creatura Palantir, cioè Peter Theil il vero boss della “PayPal mafia”, una delle poche personalità della Valley a schierarsi, senza se e senza ma, con Donald Trump già nel 2016, un tempo in cui non andava tanto di moda, specie in quella parte della California.

Ma perché Thiel ce l’aveva tanto con Denton? Semplicemente perché Denton – con un’altra sua creatura, un sito che si chiamava ValleyWag e riportava pettegolezzi (e spesso spazzatura) sui giganti della digital economy – aveva messo in piazza il fatto che Thiel era omosessuale. Nulla di particolarmente scandaloso, per gli States di allora. E lo stesso Denton era comunque notoriamente un omosessuale. Solo che Thiel era un maniaco della privacy e – essendo un consevatore duro e puro da sempre – mal sopportava di essere additato come omosessuale. E quindi spese una somma enorme per farla pagare a Denton, tramite la causa di Hogan. Un piano a lungo termine che si sviluppò per anni e che alla fine, come detto, fece chiudere il sito.

Il senso di questa lunga digressione (raccontata benissimo da Ben Smith in quel libro bellissimo che si chiama “Traffic” e che trovate tradotto in italiano da Iperborea nella collana del Post)?

Beh il senso è che oggi, quando il vice presidente J.D. Vance (un’altra creatura di Thiel, meno geniale di Musk, ma con degli splendidi occhi azzurri che In politica fanno la differenza: un Ken con la barba ben curata e una laurea in una prestigiosa law school) ha pronunciato il suo pistolotto contro l’Europa che soffoca la libertà di parola mi è venuta in mente questa storia e mi sono messo a ridere. Per non piangere, ovvio.

Come diceva un tale in un libro abbastanza famoso “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” e via di doublethink”.

L’etica della caccia secondo mio padre

Focused with the Focus 2 app

Mio padre era un cacciatore. Per lui l’unica preda degna era la pernice, o meglio la pernice rossa. Un tiro molto difficile, specie in montagna dove gli piaceva cacciare. I fagiani, secondo lui, erano troppo stupidi e le lepri, beh, per le lepri non serviva un cane da ferma e i cani da punta non li ha mai presi in considerazione.

Questo per dire che per lui c’era un girone dell’inferno apposta per chi cacciava anatre dalla botte o sparava agli uccellini con i richiami.

Per non dire – lui che ha sempre avuto un rapporto di amore viscerale con il suo cane – di chi, come l’attuale segretaria alla Sicurezza interna Usa , uccide a fucilate un cucciolone perché “Indisciplinato”. Per quelle (o quelli) forse solo la masticazione nella bocca di Lucifero nella parte più bassa dell’Ade poteva sembrargli adeguata.

“C’est moi le bebé”

L’intervista di Francine Christophe

Oggi 27 gennaio, data in cui nel 1945 furono liberati i pochi sopravvissuti di Auschwitz dall’Armata Rossa,  è il «Giorno della memoria» in cui si ricorda l’Olocausto. 

Questa è la testimonianza di Francine Christophe, nata nel 1933, che è sopravvissuta a  Bergen-Belsen (che era un Aufenthaltslager, cioè un campo residenziale,  con condizione di vita terribili, ma non era pensato per lo sterminio) dove fu internata da bambina con la mamma.  A Bergen Belsen comunque morirono circa 50mila prigionieri, quasi 35mila di tifo nei primi mesi del 1945 prima della liberazione, avvenuta il 15 aprile. 

Francine Christophe ci ricorda come un piccolo gesto di solidarietà – ma tenuto conto delle condizioni estreme dei campi enorme –  può fare la differenza e lasciare aperta la porta alla speranza. Una storia che non sembra vera, ma lo è.

Grazie a Matteo Caccia che ne ha parlato nel suo podcast giornaliero sul Post

Jules Feiffer (1929-2025)

Jules Feiffer è stato uno dei cartoonist (e non solo visto che è stato anche sceneggiatore: Carnal Knowledge, per dire) più importanti dagli anni ’70 in avanti negli Stati Uniti. Se ne è andato a 95 anni. Mancherà molto a chi, come me, lo ha scoperto leggendo Linus quando ancora andava alle medie. Qui l’articolo di necrologio del New York Times.

New York Times

Heil myself! (or Springtime for Elon)

(Photo by ANGELA WEISS / AFP)

Ho visto parte delle cerimonie dell’Inauguration Day ieri. E, a parte il saluto  a braccio teso “con tutto il suo cuore” di Elon Musk, mi chiedo cosa sarebbe riuscito a cavarne quel genio di Mel Brooks da tanto materiale così naturalmente – e spaventosamente –  comico. 

Essere interrogati sulla crosta della pizza a Teheran

foto della prigione di Evin, Di Ehsan Iran – 88 from Flickr

Emma Bubola ha intervistato Cecilia Sala per il NYT. Molte cose sono già note. Alcune, abbastanza curiose, no. Tipo il fatto che le è stato chiesto se preferiva la pizza napoletana o la pinsa romana (sort of it)

“Chi la interrogava parlava un inglese impeccabile, ha detto Sala, e ha fatto capire che conosceva bene l’Italia chiedendole se preferisse la crosta della pizza romana o napoletana”.

New York Times

Poi Sala – che afferma che non tornerà più in Iran, almeno finché non cadrà il regime – ammette che non vede l’ora di tornare a fare la giornalista. Per parlare delle storie degli altri e non della sua.

Los Angeles, Joan Didion, il fuoco e il Santa Ana

«È difficile per chi non ha vissuto a Los Angeles capire quanto il Santa Ana sia radicato nell’immaginazione locale. La città che brucia è l’immagine più profonda che la città ha di sé stessa. Nathaniel West se ne era accorto in The Day of the Locust e, ai tempi dei riot di Watts, nel 1965, la cosa che colpiva l’immaginazione in modo più indelebile erano i fuochi. Per giorni, si poteva guidare lungo la Harbor Freeway e osservare la città in fiamme, come abbiamo sempre saputo che sarebbe finita».

Questa citazione di Joan Didion – tratta da Slouching Toward Bethlehem del 1969 – serve per far notare che gli incendi provocati dal Santa Ana sono una costante a Los Angeles. Come le rivolte e la mancanza d’acqua (Do you remember Chinatown?)

Joan Didion, Slouching Toward Bethlehem 

Forse il fact-cheching non è il principale problema di Facebook

I sistemi di moderazione automatica di Facebook hanno cancellato un mio post dove facevo dell’ironia sulle affermazioni fatte ieri durante la diretta streaming con Elon Musk dalla leader di AfD, Alice Weidel, sul fatto che il dittatore tedesco che ha fatto sterminare 6 milioni di ebrei (cioè Hitler) era un adepto del movimento fondato da Carl Marx (cioè il comunismo). Scusate la parafrasi, ma pare che alcuni nomi non si possano pronunciare su quel social network, pena la cancellazione del post. Avevo usato, con poca originalità in verità, un passo di 1984 di Orwell Quello su guerra e pace ecc. Questo per dire che forse il Fact-checking è il minore dei problemi di Facebook. ps. La foto è stata creata con l’intelligenza artificiale.