Qual è lo stato a cui Trump ha imposto le tariffe più alte? Non è uno dei soliti sospetti (Cina, Eu, i cattivissimi Canada e Messico e neppure gli infidi vietnamiti), ma un piccolo stato africano, il Lesotho.
Ai beni che provengono dal Lesotho l’Amministrazione Trump ha imposto dazi al 50%. La ragione dietro a questa idiozia è il fatto che il Lesotho – stato con una popolazione poverissima – non importa praticamente nulla dagli Stati Uniti e esporta negli Usa una cosa parecchio preziosa, cioè i diamanti.
Da qui lo squilibrio della bilancia commerciale che porta – tramite la demenziale formula usata per stabilire i “dazi reciproci” – alle tariffe del 50%.
Come questo possa aiutare il reshoring della manifattura degli Stati Uniti non è dato sapere, visto che non ci sono miniere di diamanti negli States anche perché non ci sono diamanti da estrarre.
L’unica cosa evidente è che alla Casa Bianca c’è un enorme idiota i cui collaboratori sono egualmente – o forse più – stupidi o non abbastanza in gamba – avendo avuto giorni per studiare una strategia meno insensata – da suggerire cose meno cretine.
E il fatto che ci sia un idiota alla Casa Bianca è il peggior scenario possibile, visto che se si trattasse solo di un criminale almeno massimizzerebbe il proprio tornaconto personale. Mentre gli idioti – come insegna Cipolla – fanno danni a sé e agli altri.
C’è una vicenda famosa che ha fatto la storia degli anni 10 di questo secolo e racconta la chiusura di un sito che all’epoca era l’alfiere di un modo nuovo di fare giornalismo, eticamente discutibile, ma, oggettivamente, divertentissimo.
Il sito si chiamava Gawker ed era la creatura di un irregolare di nome Nick Denton, giornalista, imprenditore digitale, startupparo e visionario. Il killer di Gawker – la storia è strana, ma seguitemi – fu un wrestler famoso, Hulk Hogan che aveva fatto causa a Denton perché il sito aveva pubblicato (erano gli anni 10, eravamo tutti giovani e meno bacchettoni di ora) un video di lui che faceva sesso con la moglie di un (non troppo) amico. E Hogan c’era rimasto male, poverino. Di più l’amico, immagino, ma vabbè…
Hogan, che era arrabbiato come un wrestler, fece causa, però non aveva i soldi per pagare gli avvocati – bravissimi e costosissimi – che pilotarono il processo verso una condanna disastrosa per Denton che dovette vendere il sito per pagare i danni e le spese processuali.
Dietro Hogan c’era uno dei personaggio più potenti della Silicon Valley, uno di cui allora non si parlava tanto se non per sussurrare che era il padrone vero di PayPal e il mentore del giovane Elon Musk e che trafficava in materia di sicurezza nazionale con la sua nuova creatura Palantir, cioè Peter Theil il vero boss della “PayPal mafia”, una delle poche personalità della Valley a schierarsi, senza se e senza ma, con Donald Trump già nel 2016, un tempo in cui non andava tanto di moda, specie in quella parte della California.
Ma perché Thiel ce l’aveva tanto con Denton? Semplicemente perché Denton – con un’altra sua creatura, un sito che si chiamava ValleyWag e riportava pettegolezzi (e spesso spazzatura) sui giganti della digital economy – aveva messo in piazza il fatto che Thiel era omosessuale. Nulla di particolarmente scandaloso, per gli States di allora. E lo stesso Denton era comunque notoriamente un omosessuale. Solo che Thiel era un maniaco della privacy e – essendo un consevatore duro e puro da sempre – mal sopportava di essere additato come omosessuale. E quindi spese una somma enorme per farla pagare a Denton, tramite la causa di Hogan. Un piano a lungo termine che si sviluppò per anni e che alla fine, come detto, fece chiudere il sito.
Il senso di questa lunga digressione (raccontata benissimo da Ben Smith in quel libro bellissimo che si chiama “Traffic” e che trovate tradotto in italiano da Iperborea nella collana del Post)?
Beh il senso è che oggi, quando il vice presidente J.D. Vance (un’altra creatura di Thiel, meno geniale di Musk, ma con degli splendidi occhi azzurri che In politica fanno la differenza: un Ken con la barba ben curata e una laurea in una prestigiosa law school) ha pronunciato il suo pistolotto contro l’Europa che soffoca la libertà di parola mi è venuta in mente questa storia e mi sono messo a ridere. Per non piangere, ovvio.
Come diceva un tale in un libro abbastanza famoso “la guerra è pace, la libertà è schiavitù, l’ignoranza è forza” e via di doublethink”.
Ho visto parte delle cerimonie dell’Inauguration Day ieri. E, a parte il saluto a braccio teso “con tutto il suo cuore” di Elon Musk, mi chiedo cosa sarebbe riuscito a cavarne quel genio di Mel Brooks da tanto materiale così naturalmente – e spaventosamente – comico.
Non è un fine anno allegro quello di Donald Trump. Le elezioni di metà mandato sono andate male, anche se non malissimo come pareva solo pochi mesi prima del giorno del voto: il partito del presidente ha mantenuto la maggioranza al Senato, ma la sconfitta alla Camera è stata pesante, anzi pesantissima. E dall’inizio del prossimo anno la Casa Bianca dovrà tenerne conto. In più c’è stata una serie di importanti dimissioni all’interno dell’Amministrazione: se ne sono andati il ministro della Giustizia, Jeff Sessions, il capo dello staff presidenziale, John Kelly, e il ministro della Difesa, Jim Mattis, questi ultimi due ex generali, celebrati e incensati da Trump all’inizio del loro mandato, ma poi entrati in un insanabile conflitto con il capo della Casa Bianca.
In più il presidente è nel mirino dell’inchiesta dello «special prosecutor» Robert Mueller che indaga sulle influenze russe sulle elezioni del 2016 ed è criticato all’interno del suo partito per la sua gestione della politica estera – la decisione di abbandonare la Siria al suo destino non è piaciuta a nessuno, almeno a Washington – e per i continui conflitti con la Federal Reserve – con minacce di destituzione per il presidente, Jerome Powell – che fanno fibrillare Wall Street.
È una posizione difficile anche se l’imprevedibilità di Trump è proverbiale. E quasi sempre i presidenti Usa riescono a conquistare un secondo mandato.