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Brexit: Londra è (in)decisa a tutto

«Grande è la confusione sotto il cielo. La situazione è eccellente». Molti a Londra in questi giorni vorrebbero avere l’ottimismo – o il giudizio accecato dall’ideologia, a volte le due cose si equivalgono – di Mao Zedong, l’autore della celebre massima.

Infatti la confusione – a pochi giorni dal voto sull’accorto trovato dalla premier Theresa May con la Ue, previsto per martedì prossimo – è grande. Anzi enorme. È, infatti, altamente probabile che l’accordo venga bocciato dal Parlamento, visto che non ha convinto nemmeno i conservatori, il partito della May che è diviso – come tutto il Paese – tra fautori della Brexit e invece chi preferirebbe rimanere nell’Unione europea.  Eppure la quasi certezza della bocciatura del piano che potrebbe portare a una disastrosa uscita del Regno Unito dalla Ue senza alcun accordo, pare aver stregato l’intera classe politica bloccata e immobile. Pietrificata dallo sguardo di Medusa. 

C’è chi preferisce un accordo con meno vincoli, c’è chi vuole un patto ancora più stringente, c’è chi chiede più tempo e un secondo negoziato, c’è chi punta a un secondo referendum che annulli il primo e chi, invece, spera nelle elezioni anticipate. Ma nessuno sembra prendere sul serio l’ipotesi di un «no deal», del mancato accordo, che a ogni ora che passa, sembra sempre più spaventosamente reale. Con la recessione mondiale che, secondo tutti gli studi, potrebbe innescare.

Editoriale pubblicato sulla Gazzetta di Parma del 12 gennaio 2019

Europa amara per Facebook

Il 2018 è stato forse l’anno peggiore per Facebook che, dal giorno della fondazione (nel 2004, giova ricordarlo perché ormai il social network è talmente potente che ci si scorda che ha solo 14 anni di vita), non si è mai trovato in una situazione tanto delicata. E anche le ultime settimane sono state piene di dolori e problemi per l’azienda le cui azioni – come tutte quelle del settore tecnologico, va detto – sono in calo costante dopo i picchi di metà anno.

Le ultime disavventure partono dal rifiuto di Mark Zuckerberg di presentarsi davanti alla Commissione per il Digitale e i Media della Camera dei Comuni britannica che indaga su «disinformazione e fakenews». La sedia vuota con il nome del fondatore del social network di fonte a quelle occupata dai deputati di 9 Paesi invitati a presenziare all’audizione ha fatto il giro del web. E ha sporcato un po’ l’immagine da bravo ragazzo di Zuckerberg, mostrandone l’arroganza da navigato capitano d’industria. Ma questa non è la fine della storia perché il presidente della Commissione, il conservatore Damian Collins, ha pubblicato alcuni documenti, fatti da lui stesso sequestrare d’autorità a un manager di passaggio a Londra, da cui sembrano emergere nuovi indizi di vecchie pratiche di abuso dei profili degli utenti. Le 200 pagine di email interne svelate evidenziano in particolare la condivisione – si sospetta a pagamento – di dati personali di utilizzatori con altre aziende. Facebook ha smentito tutto, però è l’ennesima tegola che cade sulla testa di Zuckerberg.

Ma non è finita qui. Perché anche in Italia si è aperto un nuovo fronte. Infatti l’Antitrust ha stabilito che la società americana dovrà pagare due multe per un valore complessivo di 10 milioni di euro (il massimo edittale) per aver utilizzato a fini commerciali i dati dei suoi utenti senza che questi ne fossero consapevoli. Facebook si è difeso notando che «le persone hanno il possesso e il controllo delle loro informazioni personali» e ha promesso di collaborare con l’Authority italiana. Ma anche in questo caso conta di più l’effetto sul brand delle accuse rispetto all’entità del danno monetario. E il punto è proprio questo: Zuckerberg non sembra avere una strategia per confrontarsi con i decisori europei. E qui non basta avere la faccia del bravo ragazzo. O perlomeno, la faccia aiuto, ma è meglio avere un esercito di lobbisty come quelli assunti per tenere a bada il Congresso Usa.

Analisi pubblicata sulla Gazzetta di Parma del 10 dicembre 2018