Eugenio Colorni, ovvero perché il Manifesto di Ventotene è stato scritto così

Per cercare di farvi capire l’enormità del delirante attacco di Giorgia Meloni – grazie ad alcuni passi estrapolati senza contesto (né testuale, né storico, né politico) – al Manifesto di Ventotene, provo a parlarvi di Eugenio Colorni (nella foto) che figura come prefatore del Manifesto, ma che fu quasi un coautore del documento assieme a Altiero Spinelli ed Ernesto Rossi. E fu sicuramente Colorni il primo a riuscire a pubblicare il documento – clandestinamente – a Roma nel 1944 dopo essere riuscito ad evadere dal confino ed essere diventato una delle figure più importanti del partito socialista in clandestinità.

Colorni organizzò l’ala militare del partito (la brigata Matteotti) che combatteva gli occupanti nazisti e i loro manigoldi fascisti e fu l’anima dell’Avanti!, la testata del partito socialista che si pubblicava in clandestinità.

Colorni fu ucciso, il 28 maggio 1944, pochi giorni prima della liberazione di Roma dai boia fascisti della Banda Koch che posero fine alla sua vita con tre colpi di pistola, nemmeno sapendo che avevano ucciso una delle colonne delle Resistenza nella Capitale. Colorni, infatti, mori qualche giorno dopo in ospedale ancora protetto dal nome scelto per la clandestinità: Franco Tanzi.

Eugenio Colorni fu insignito della medaglia d’oro al valor militare alla memoria nel 1946. Questa è la motivazione:

«Indomito assertore della libertà, confinato durante la dominazione fascista, evadeva audacemente dedicandosi quindi a rischiose attività cospirative. Durante la lotta antinazista, organizzato il centro militare del Partito Socialista Italiano, dirigeva animosamente partecipandovi, primo fra i primi, una intensa, continua e micidiale azione di guerriglia e di sabotaggio. Scoperto e circondato da nazisti li affrontò da solo, combattendo con estremo ardimento, finché travolto dal numero, cadde nell’impari gloriosa lotta»

Resta da dire che in realtà, come ho scritto prima, Colorni non fu ucciso dagli occupanti tedeschi, ma da altri italiani, i boia fascisti della famigerata Banda Koch, responsabile di innumerevoli efferatezze. Pietro Koch, il pezzo di merda che li capitanava, fu fucilato alla schiena il 5 giugno del 1945 al Forte Bravetta.

Particolare curioso in questa storia di morte: l’esecuzione di Koch fu filmata da Luchino Visconti su richiesta degli alleati. Visconti era stato uno dei tanti italiani ad aver subito gli arresti arbitrari e le torture della Banda Koch. Questo è il link per vedere il film sul massacro delle Fosse Ardeatine in cui c’è anche la fucilazione di Koch.

Questo per farvi capire che il Manifesto di Ventotene è stato scritto in un tempo in cui l’Italia era sotto il tallone di ferro di una brutale dittatura che dopo l’8 settembre si era trasformata in un’appendice, feroce e ridicola, ma non meno crudele della macchina di morte nazista.

Era un tempo in cui italiani uccidevano italiani. I fascisti ormai erano preda di una cupio dissolvi dove ormai predominava il senso di morte e una concezione necrofila dell’onore nazionale, gli uomini della resistenza – i banditi, i terroristi secondo i proclami dell’occupante nazista e della Repubblica sociale – invece lottavano per ritornare alla vita.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.