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Forse il fact-cheching non è il principale problema di Facebook

I sistemi di moderazione automatica di Facebook hanno cancellato un mio post dove facevo dell’ironia sulle affermazioni fatte ieri durante la diretta streaming con Elon Musk dalla leader di AfD, Alice Weidel, sul fatto che il dittatore tedesco che ha fatto sterminare 6 milioni di ebrei (cioè Hitler) era un adepto del movimento fondato da Carl Marx (cioè il comunismo). Scusate la parafrasi, ma pare che alcuni nomi non si possano pronunciare su quel social network, pena la cancellazione del post. Avevo usato, con poca originalità in verità, un passo di 1984 di Orwell Quello su guerra e pace ecc. Questo per dire che forse il Fact-checking è il minore dei problemi di Facebook. ps. La foto è stata creata con l’intelligenza artificiale.

Facebook d’ora in poi consentirà di paragonare le donne a oggetti

Martedì – si legge sul WSJ – Meta ha anche rivisto gli standard della community per allentare in modo significativo le restrizioni sui contenuti precedentemente considerati incitamento all’odio. Ad esempio, le regole aggiornate consentono “accuse di malattia mentale o anomalie quando basate sul genere o sull’orientamento sessuale” e annullano il divieto di paragonare le donne a “oggetti domestici o proprietà”.
 

Wall Street Journal

Cosa potrà mai andare storto?

Il resto in questo pezzo del WSJ dove dice anche che Zuckerberg si è accorto che qualcosa non andava nella moderazione del suo SNS quando un suo post su una banale operazione ai legamenti non ha fatto il botto su Facebook a causa del filtro sui contenuti sanitari.  Potenza dell’egotismo. 

Wall Street Journal, immagine generata con Grok

Facebook, 15 anni tra luci e ombre

Facebook ha appena compiuto 15 anni, visto che fu fondato il 4 febbraio 2004 in un dormitorio di Harvard da Mark Zuckerberg e alcuni compagni. E, come ogni adolescente, sta vivendo un periodo burrascoso.

Vediamo prima le luci che sono tante e molto brillanti, sia dal punto di vista finanziario, sia dal punto di vista della crescita degli utenti. Il colosso di Zuckerberg archivia il quarto trimestre 2018 con un utile netto in aumento a 6,88 miliardi di dollari, o 2,38 dollari per azione, sopra i 2,18 dollari attesi dagli analisti. I ricavi sono saliti del 30% a 16,91 miliardi di dollari, decisamente al di sopra dei 16,39 miliardi su cui scommetteva il mercato. Gli utenti attivi giornalieri, poi, sono stati in media 1,52 miliardi nel dicembre dell’anno scorso, il 9% in più rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Gli utenti mensili sono saliti del 9% a 2,32 miliardi. I ricavi da pubblicità sui dispositivi mobili hanno rappresentato il 93% del totale ricavi. Le piattaforme che Facebook ha acquisito nel corso degli anni (Instagram, WhatsApp e Messenger), infine, fanno faville. Messenger è stata sviluppata «in casa» e lanciata nel 2011, Instagram è stata acquistata nel 2012 per 1 miliardo di dollari e ha raggiunto un miliardo di utenti. WhatsApp è stata invece comperata nel 2014 per 14 miliardi di dollari e ha sforato il tetto del miliardo e mezzo di utenti.

Ora vediamo le ombre che sono tante. Anche se per ora non intaccano, come abbiamo visto, il business di Facebook. Quella più pesante deriva del modello di business stesso del social network per eccellenza che offre un servizio gratuito – e per molti eccellente e prezioso – in cambio di una profilazione ad alzo zero degli utenti. Un numero impressionante di dati che poi vengono utilizzati per «tagliare» al meglio sui gusti dello specifico consumatore la pubblicità. Questa bulimia di dati, a volte conquistati con tecniche molto invasive, è sempre più nell’occhio del ciclone. Per esempio la Gdpr, la normativa europea sulla privacy entrata in vigore a fine maggio 2018 ha dato maggiori protezioni agli «under 16». E proprio questa settimana l’Antitrust tedesco ha deciso che Facebook potrà continuare a raccogliere dati dei propri utenti ricavati da altri siti e app solo con il consenso esplicito degli interessati. Se la raccolta dei dati diventerà più difficile – e più costosa – per Facebook saranno dolori. E l’effetto potrebbe essere più pesante di quello provocato dalla buriana delle Fake News.

Analisi pubblicata sulla Gazzetta di Parma dell’11 febbraio 2019

Europa amara per Facebook

Il 2018 è stato forse l’anno peggiore per Facebook che, dal giorno della fondazione (nel 2004, giova ricordarlo perché ormai il social network è talmente potente che ci si scorda che ha solo 14 anni di vita), non si è mai trovato in una situazione tanto delicata. E anche le ultime settimane sono state piene di dolori e problemi per l’azienda le cui azioni – come tutte quelle del settore tecnologico, va detto – sono in calo costante dopo i picchi di metà anno.

Le ultime disavventure partono dal rifiuto di Mark Zuckerberg di presentarsi davanti alla Commissione per il Digitale e i Media della Camera dei Comuni britannica che indaga su «disinformazione e fakenews». La sedia vuota con il nome del fondatore del social network di fonte a quelle occupata dai deputati di 9 Paesi invitati a presenziare all’audizione ha fatto il giro del web. E ha sporcato un po’ l’immagine da bravo ragazzo di Zuckerberg, mostrandone l’arroganza da navigato capitano d’industria. Ma questa non è la fine della storia perché il presidente della Commissione, il conservatore Damian Collins, ha pubblicato alcuni documenti, fatti da lui stesso sequestrare d’autorità a un manager di passaggio a Londra, da cui sembrano emergere nuovi indizi di vecchie pratiche di abuso dei profili degli utenti. Le 200 pagine di email interne svelate evidenziano in particolare la condivisione – si sospetta a pagamento – di dati personali di utilizzatori con altre aziende. Facebook ha smentito tutto, però è l’ennesima tegola che cade sulla testa di Zuckerberg.

Ma non è finita qui. Perché anche in Italia si è aperto un nuovo fronte. Infatti l’Antitrust ha stabilito che la società americana dovrà pagare due multe per un valore complessivo di 10 milioni di euro (il massimo edittale) per aver utilizzato a fini commerciali i dati dei suoi utenti senza che questi ne fossero consapevoli. Facebook si è difeso notando che «le persone hanno il possesso e il controllo delle loro informazioni personali» e ha promesso di collaborare con l’Authority italiana. Ma anche in questo caso conta di più l’effetto sul brand delle accuse rispetto all’entità del danno monetario. E il punto è proprio questo: Zuckerberg non sembra avere una strategia per confrontarsi con i decisori europei. E qui non basta avere la faccia del bravo ragazzo. O perlomeno, la faccia aiuto, ma è meglio avere un esercito di lobbisty come quelli assunti per tenere a bada il Congresso Usa.

Analisi pubblicata sulla Gazzetta di Parma del 10 dicembre 2018